Mattei vittima del conflitto arabo-israeliano?

Dopo anni dalla sua scomparsa si cerca ancora di capire chi e come concorse alla morte del compianto presidente dell’ENI: al di là delle note piste di inchiesta, esiste una rete più grande di interessi in conflitto, che potrebbe aver decretato la sua morte.

 

Molto si è detto su Enrico Mattei, in particolare sulla sua morte; molto di più sta affiorando dalle inchieste e dalle indagini che sono state riaperte nel 2003 dalla Procura di Pavia e archiviate nel 2005 con la certezza che si sia trattato di un attentato, a cui fece seguito una lunga scia di sangue che ha visto vittime illustri che da più parti indagavano sulla sua scomparsa, dal giornalista Mauro Di Mauro, al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a Boris Giuliano fino a Pierpaolo Pasolini, scomparso dopo il suo ultimo lavoro: Petrolio.

Enrico Mattei è possibile definirlo un grande statista, dipendente dello Stato. La concezione di Nazione per lui consisteva nel trovare ogni mezzo per portare il genio e la capacità italiani al livello che competevano, superando la miseria e la povertà in cui l’Italia giaceva al termine del conflitto mondiale, seppure a costo di sfidare nazioni molto più grandi e più ricche. Il lavoro di Mattei ha ostacolato per un decennio il monopolio delle grandi compagne angloamericane del petrolio (dette “Sette Sorelle”) ma non solo, ha toccato interessi molto più grandi e prossimi ad affermarsi e imporsi nel mondo fino ai giorni nostri.

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L’innovazione degli accordi con Enrico Mattei

Uno dei principali successi di Enrico Mattei è l’aver scardinato la regola del “fifty fifty” imposta dalle compagnie petrolifere angloamericane ai paesi produttori di petrolio. In base a questa regola, i paesi produttori di petrolio beneficiavano del 50% dei profitti in cambio del rilascio delle concessioni di estrazione alle compagnie straniere. Al di là del gioco al rialzo compiuto da Mattei, il successo dell’operazione fu soprattutto dovuto alla proposta di partnership che il presidente dell’ENI poneva sul piatto della trattativa. Il paese produttore di petrolio non era più solo il mero titolare dei diritti di estrazione, da concedere a questa o quella compagnia petrolifera internazionale senza alcuna voce in capitolo, ma partecipava anche all’organizzazione, alle responsabilità e alla produzione. Ogni operazione era effettuata sotto la supervisione dei governi locali. Il rapporto alla pari trovò immediatamente il favore dei paesi mediorientali, di recente usciti dalla morsa secolare della dominazione coloniale franco-britannica. Per i paesi produttori di petrolio la mancanza di storia coloniale dell’Italia e la sua sconfitta nella seconda guerra mondiale, erano altre due valide garanzie a favore dell’accordo proposto da Mattei.

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Accordo petrolifero Eni-Iran

Approfittando della crisi di Suez, Enrico Mattei prese contatti diretti con lo scià di Persia, Reza Palhevi, per proporre nel 1957 un accordo paritario. L’Iran e l’Italia avrebbero costituito una società al 50%, la quale avrebbe riconosciuto il 50% delle royalties allo Stato iraniano ed il restante 50% diviso equamente tra l’ENI e l’ente nazionale petrolifero iraniano (National Iranian Oil Company, Nioc). Di fatto, essendo la Nioc un’azienda di Stato, lo Stato iraniano beneficiava del 75% dell’accordo (venti cinque punti percentuali in più rispetto alla regola angloamericana del fifty-fifty) e, cosa non meno importante, della partecipazione tecnologica diretta nelle attività di ricerca e di estrazione degli idrocarburi. L’accordo fu siglato il 14 marzo 1957 tra ENI e Nioc. L’8 settembre 1957 le due società fecero nascere la Sirip (Societé Irano-Italienne des Pétroles). Le attività di ricerca del petrolio furono a carico dell’ENI-Agip con il patto di rimborso delle spese in caso di scoperta di riserve e di giacimenti petroliferi sul suolo iraniano.

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L’ostracismo delle Sette Sorelle

Il lavoro di Enrico Mattei creò notevole fastidio alle compagnie multinazionali petrolifere angloamericane, le quali intravedevano il pericolo di una destabilizzazione dell’approvvigionamento petrolifero dal Medio Oriente e, soprattutto, il rischio di indebolimento della propria posizione di cartello. Il lavoro di Enrico Mattei e dell’ENI iniziò a diventare una minaccia per l’ordine mondiale uscito vincitore dalla seconda guerra mondiale e quasi totalmente in mano agli interessi americani. Dallo stesso governo di Washington furono avanzate molte pressioni al Governo italiano per evitare l’accordo Eni-Iran. Tuttavia l’accordo fu soltanto una delle sfide lanciate da Mattei alle Sette Sorelle. Altre importanti mosse di Enrico Mattei furono compiute cercando accordi diretti con l’Egitto, l’Algeria (che gli generò l’invisione da parte dell’OAS francese), la Libia e l’Unione Sovietica.

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La CIA e il Mossad

Le audaci mosse diplomatiche compiute nell’interesse nazionale, avevano portato Enrico Mattei a ritagliare un ruolo strategico sempre più forte nel bacino del Mediterraneo e soprattutto, nella funzione di mediatore tra l’occidente americano e l’Unione Sovietica. L’Iran infatti, come tutto il Medio Oriente, rappresentava il prossimo scenario in cui si sarebbe mosso l’equilibrio mondiale, in cui gli interessi geoenergetici delle compagnie petrolifere americane, si intrecciavano con quelli geopolitici e, perché no, egemonici del neonato Stato di Israele legato con l’occidente. Gli accordi stipulati dall’ENI in esclusiva con lo Scià di Persia, con il Re di Giordania e con le autorità irachene, minacciavano questo piano egemonico maturato dal 1963, poi sviluppato mediante una simbiosi tra il governo americano e le autorità sioniste. Tuttavia all’epoca di Mattei (1962), il segretissimo impianto di arricchimento nucleare Israeliano situato nel sito di Dimona non era stato ultimato: Israele ancora non aveva le opportune coperture militari per poter agire da sola, inoltre gli Stati Uniti con Eisenhower e Kennedy, da anni dubitavano fortemente delle buone intenzioni di Ben Gurion e Levi Eshkol, sospettando al contempo che l’istituzione più potente americana, la Central Intelligence Agency, ormai aveva perso il proprio ruolo di servizio alla Nazione avendo preso una propria conformazione autonoma, creando de facto un deep state in cui sono stati fatti confluire gli interessi del neonato Mossad e delle enormi aziende americane, tra cui le compagnie petrolifere. L’impianto a Dimona non fu mai svelato nel suo potenziale agli USA, Kennedy fu assassinato e la storia degli Stati Uniti cambiò completamente, fino ad oggi.

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Italia terra di tutti?

La CIA, su mandato di Ben Gurion e Levi Eshkol, fu sospettata di essere il grande artefice dell’uccisione del Presidente americano e la sostituzione con il suo vice, Johnson, ma fu anche sospettata di essere l’artefice dell’assassinio di Mattei, utilizzando una propria rete di contatti tra i clan mafiosi e una folta schiera di complici tra politici, dirigenti – vicini e lontani a Mattei –  e iscritti alle Logge. Tra costoro spiccano alcuni nomi come Eugenio Cefis, Graziano Verzotto, Stefano Bontate e Giuseppe Di Cristina: il primo vicepresidente ENI, il secondo prima dirigente e poi politico deputato nella DC, i terzi capiclan di mandamenti mafiosi siciliani n contatto con cariche politiche dello Stato.  Ma in Italia, paradiso del Mossad negli anni ‘50-’60 come spiegano Mike Harari e Yeuda Arazi a Eric Salerno, si decide un patto segreto tra Ada Sereni (dirigente Mossad in Italia) e Alcide De Gasperi, in merito alle attività dell’organizzazione sionista sul territorio nazionale costituite nel contrasto a tutte le attività che favorivano paesi arabi: celebre fu la frase raccolta “il governo italiano dovrà chiudere un occhio e possibilmente due sulle nostre attività in questo paese”. Vi sono in questo senso alcune tracce che spostano l’attenzione sul complicato rapporto che Enrico Mattei ebbe con Israele:

una lettera scritta in data 23 settembre 1957 del sottosegretario agli Esteri Alberto Folchi a Mattei. L’ENI è in pieno contenzioso con Israele, che si oppone ad un congruo risarcimento per i beni razziati dalle proprie truppe nei campi petroliferi italo-belgi-egiziani di Abu Rudeis durante la guerra di Suez del novembre ’56. L’ammontare dei danni e delle sottrazioni è calcolato dall’ENI in circa 2 milioni di dollari dell’epoca. Ma durante le trattative gli israeliani puntano i piedi, e Mattei a un certo punto decide di romperle, chiedendo contestualmente al governo italiano di esser libero di lanciare una campagna di stampa contro l’atteggiamento della delegazione di Tel Aviv. La risposta alla fine è no: prima il ministro Carrobio – alto funzionario della Farnesina – chiede a Mattei di attendere un nuovo tentativo diplomatico, poi a settembre, è appunto Folchi a ammonire – pur riconoscendo i torti di Israele nella vicenda – che un eventuale “inasprimento polemico […] non solo potrebbe nuocere ai buoni rapporti fra l’Italia e Israele […], ma suscitare negative ripercussioni in quei circoli politici e finanziari americani dove le simpatie e la solidarietà anche materiale per Israele hanno così larga parte;

poi un trafiletto tratto da “Il Giornale d’Italia” del 15 novembre 1961, relativi ad un credito imponente concesso dall’ENI all’Egitto  – 30 miliardi di lire dell’epoca – e a un colloquio di due ore di Mattei in visita al Cairo, con Nasser. Nasser era il nemico principale dello Stato ebraico in Medio Oriente, una vera e propria ossessione per Israele negli anni Cinquanta e Sessanta: lo stesso ruolo svolto da Saddam Hussein dagli anni Ottanta fino al suo assassinio, e da Rouhani oggi;

infine, nel dicembre 1961, viene diffusa una lista di interlocutori dell’ANIC – la consociata dell’ENI diretta all’epoca da Eugenio Cefis – residenti in Israele, cittadini israeliani, in cui il Cefis è definito “ns. agente”. Una lista venuta alla luce – stando alle carte dell’Archivio ENI da cui è stata tratta – dopo un’inchiesta interna: infatti nell’estate del ’61, un bollettino tedesco sul petrolio aveva rivelato l’esistenza di rapporti economici fra l’ENI e Israele, e la notizia aveva scatenato proteste in tutto il mondo arabo, i cui paesi – uniti attraverso la Lega araba in un Comitato per il boicottaggio di Israele – avevano chiesto spiegazioni a Mattei. Il presidente dell’ENI si era affrettato a smentire tutto, con parole forti: “L’ENI non ha rapporti con Israele e non intende averne sotto nessun aspetto” scriveva in una lettera all’ambasciatore della Repubblica Araba Unita a Roma del 12 ottobre 1961. Ma le voci continuarono, e a dicembre usciva fuori la verità: i rapporti con Israele esistevano, attraverso l’ANIC controllata da Cefis.

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Nel gennaio del 1962 Cefis viene espulso dall’ENI; tra il 13 e il 17 luglio 1962 con il placet di Alfio Russo neodirettore, Indro Montanelli – scevro fin’ora di articoli economici –  pubblica sul “Corriere della Sera” la famigerata serie di cinque articoli aggressivi e infamanti su Mattei, corroborati da informazioni sulla situazione interna alla compagnia di Stato; a ottobre 1962 Mattei, seppure avvisato dal rappresentante del KGB servizio di informazioni dell’URSS Leonid Kolosov, viene assassinato con un ordigno collocato a bordo dell’aereo privato con cui da Catania si dirigeva verso Milano, che esplose a Bascapè il giorno 27.

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Con la sua morte l’ENI dovette rinunciare alla strategia operata nel Mediterraneo, venne esclusa dagli accordi con i paesi mediorientali, perdendo il suo prezioso ruolo primatista nella regione, aprendo gli spazi per la colonizzazione americo-israeliana. Non si deve dunque ritenere sbagliato o eccessivo sostenere che occorre rivedere molte posizioni del caso Mattei, di solito interpretato univocamente alla luce delle contraddizioni fra Est e Ovest, fra l’ENI e le Sette Sorelle, o fra le correnti del partito cui Mattei apparteneva, la DC.

l.p.