KENNEDY-GATE: IL PASSAGGIO DI CONSEGNE

Che l’omicidio del Presidente americano John Fitzgerald Kennedy abbia segnato un passaggio decisivo nella storia del mondo è un fatto assodato. Abbiamo oggi modo di comprendere meglio quali ambienti lo hanno voluto morto e i motivi della condanna a morte.

I will splinter the CIA into a thousand pieces and scatter it into the wind. Lo disse Kennedy nel 1963, dopo aver appreso dell’operazione di invasione nella Baia dei Porci, alla quale negò il sostegno delle forze militari e che in poco tempo fallì miseramente. Ma i motivi che JFK aveva per decretare una volontà così determinata nei confronti dell’agenzia di intelligence più forte e potente del pianeta furono ben altri. Egli infatti si accorse che l’Agenzia ormai non rispondeva più alla Costituzione Americana, era infiltrata pesantemente da agenti del Mossad e stava vivendo una metamorfosi che lo preoccupava, in quanto metteva a rischio l’integrità degli Stati Uniti d’America in favore di una nascente e potentissima entità lontana migliaia di chilometri ma operante in seno alla società americana, assorbendone le forze e assumendone il controllo delle terminazioni più strategiche.

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Tutto risale al 1960, quando il presidente Eisenhower già critico nei confronti di Francia, Israele e Inghilterra durante la Guerra di Suez, espresse perplessità a David Ben Gurion riguardo una misteriosa costruzione a Dimona, in pieno deserto. Gli israeliani dissero che si trattava di una fabbrica tessile del tutto innocua. Tuttavia la CIA continuò ad indagare e ottenne foto dell’installazione di Dimona che furono classificate come “top secret” ma poco dopo il The New York Times le pubblicò in prima pagina. Quando il presidente Kennedy prese possesso del suo incarico, il 20 gennaio del 1961, il caso Dimona era diventato un’autentica bomba a orologeria nelle relazioni tra Tel Aviv e Washington. L’amministrazione Kennedy continuò con le sue richieste su Dimona, Tel Aviv disse poi che era sì una centrale nucleare ma per scopi pacifici. Washington, come metodo di pressione su Israele, evitò d’invitare Ben Guriòn a visitare la Casa Bianca. Per abbassare un po’ la tensione e poter ottenere un colloquio con Kennedy, Ben Guriòn acconsentì ad un’ispezione di scienziati americani nell’installazione di Dimona, visita realizzata il 20 maggio 1961. Le autorità americane selezionarono per questa missione due scienziati, Ulysses Staebler e Jess Croach, che arrivarono in Israele tre giorni prima dell’appuntamento per la visita programmata. Tutti e due dichiararono a Washington, in un rapporto, che la centrale nucleare israeliana era per scopi pacifici. Questo rapporto permise un incontro tra Kennedy e Ben Guriòn il 30 maggio del 1961 presso l’Hotel Waldorf Astoria, a New York, incontro dominato dall’affaire Dimona e tutto si svolse in un clima tranquillo.

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Ben Guriòn, cosciente del fatto che Israele era ancora uno Stato debole ed economicamente dipendente dalle ingenti donazioni delle potenti famiglie ebree e da organizzazioni sioniste all’estero, specialmente negli Stati Uniti, temeva possibili sanzioni economiche, che sarebbero state una catastrofe per il nuovo Stato appena creato. Così il presidente israeliano si limitò ad ascoltare le nuove richieste di Kennedy e stabilire di comune accordo nuove visite d’ispezione da parte di scienziati americani a Dimona, tuttavia Guriòn nei due anni successivi al colloquio non mantenne le promesse. Quando poi Kennedy si stancò scrisse personalmente a Ben Guriòn una lettera, era il 13 maggio 1963 e questa missiva conteneva chiare minacce di isolare a livello mondiale Israele nel caso non avesse permessole visite periodiche al sito di Dimona agli ispettori americani. Invece di rispondere alla lettera Ben Guriòn rassegnò le dimissioni dal suo incarico.  Come riporta il giornalista di inchiesta Micheal Collins Piper, alcune delle lettere scambiate tra JFK e Ben Guriòn continuano ad essere segrete. Nemmeno agli alti dirigenti dell’intelligence statunitense è permesso prendere visione di questi documenti potenzialmente esplosivi”.

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Una nuova missiva di Kennedy fu consegnata a Levi Eshkol dieci giorni dopo aver preso possesso del suo incarico di Primo Ministro d’Israele, il 16 giugno 1963. Da quel forte messaggio inviato da Eisenhower a Ben Guriòn in piena guerra di Suez (1956), Israele non aveva più ricevuto una lettera così impegnativa da Washington come quella di Kennedy a Eshkol. Il presidente americano avvertiva Israele che l’impegno degli Stati Uniti nei suoi confronti poteva essere seriamente danneggiato se Tel Aviv non avesse lasciato agli Stati Uniti prendere possesso di “informazioni attendibili” sulle attività nucleari israeliane. Nella lettera Kennedy specificava nei dettagli come dovevano essere eseguite le ispezioni periodiche a Dimona. Eshkol prese quella lettera come un chiaro ultimatum.

A questo punto viene programmata l’uccisione del Presidente americano. Israele, nelle personalità di Gurion e Eshkol, entrambi con un passato nel terrorismo nazionalista, decise di rischiare il colpo più folle: l’establishment sionista sentiva ormai di essere pronto a questo “passaggio di consegne”, decapitando la democrazia americana, sarebbe stato possibile avviare il nuovo corso verso l’egemonia in medio oriente e attraverso il sistema militare e finanziario americano, nell’intero pianeta. L’assassinio fu possibile attraverso una rete di personaggi di alto calibro militare, agenti della CIA infiltrati, ricchi finanziatori. La strategia fu quella del delitto perfetto, in cui fu impossibile accertare l’assassino e trovare materiale indiziario in merito. Ciò che seguì alla morte di Kennedy fu frettolosamente archiviato e secretato, de facto si impose il nuovo establishment con il giuramento di Johnson in aereo.

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Personaggi come Clay Shaw, Louis M. Bloomfield, Meyer Lansky, Lee Harvy Oswald, Jack Ruby e Yitzhak Rabin, legati dal collante sionista, presenti negli Stati Uniti in ogni strato del tessuto sociale, furono determinanti e operarono nella discrezione e nella più assoluta riservatezza e a nulla valsero le inchieste di numerose Corti come la Commissione Warren, che la società americana tentava di porre come argine ad un processo ormai irreversibile. Lo strumento che ha determinato le operazioni necessarie per il cambio di regime e l’assassino di JFK fu Premindex, conosciuta pure come Permanent Industrial Exposition, un’organizzazione commerciale internazionale con quartier generale a Basilea, sede del Movimento Sionista Internazionale. Secondo molti specialisti dei Servizi Segreti, Permindex non fu altro che un’organizzazione di facciata della CIA, accusata da più di un investigatore di aver pianificato e condotto l’assassinio di JFK. Questa organizzazione fu riscontrato essere pesantemente infiltrata dal Mossad israeliano ed è l’anello mancante che collega Israele non solo con l’omicidio del 22 novembre 1963 ma anche con il mantenere il mistero sul più importante assassinio del secolo scorso. All’interno di Permindex si trovava anche un altro milionario ebreo, Tibor Rosenbaum israeliano di nazionalità fu uno dei padrini dello stato di Israele e primo direttore finanziario del Mossad, fu inoltre uno dei principali finanziatori di Permindex. Come Presidente della Banca di Credito Internazionale era il responsabile in Europa per il riciclaggio del denaro proveniente dal sindacato criminale di Meyer Lansky, gangster che aveva il controllo delle attività criminali e del gioco di azzardo in California e a Cuba prima dell’avvento di Fidel Castro e che fornì la manodopera da indicare come esecutori dell’assassinio di JFK.

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Una ulteriore conferma arriverà anni dopo dal dissidente israeliano Mordechai Vanunu, che per dieci anni lavorò nello stabilimento nucleare di Dimona e che nel 1986 rivelò al londinese The Sunday Times il programma segreto israeliano per la produzione di ordigni nucleari. Vanunu rivelò inoltre che Israele aveva già in suo possesso circa 200 ordigni nucleari, oltre ad un numero imprecisato di bombe all’idrogeno e altre a neutroni. Accusato di aver rivelato segreti che minacciano la sicurezza nazionale, Vanunu fu detenuto in Israele per 18 anni, 11 dei quali trascorsi in una cella d’isolamento. Egli al suo rilascio assicurò, in un intervista con Al Wasat, supplemento settimanale del quotidiano Al Hayat, pubblicato a Londra il 25 luglio del 2004, di avere indizi quasi certi che Israele è stato coinvolto nell’assassinio di Kennedy, con l’obiettivo di porre fine alla pressione che Kennedy esercitava per ottenere che gli Stati Uniti ispezionassero periodicamente il sito nucleare di Dimona. Le sue dichiarazioni fecero il giro del mondo, essendo notizia da prima pagina e di ampio commento, tranne che negli Stati Uniti, dove continuò a regnare il silenzio mediatico sul ruolo di Israele nell’omicidio Kennedy.

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Oggi l’intero mondo vive e subisce i frutti velenosi di questa operazione e il sangue di Kennedy copre le coscienze di popoli ormai servi di un potere egemone e unipolare, a cui solo la Federazione Russa sembra resistere.

l.p.